Agricoltura biologica e cambiamenti climatici

IL POTENZIALE DELL’AGRICOLTURA BIOLOGICA ITALIANA PER LA MITIGAZIONE E L’ADATTAMENTO AI CAMBIAMENTI CLIMATICI

1.Introduzione
Nonostante il 12% del totale delle emissioni di gas serra, per un totale di circa 6,1 giga tonnellate in termini di CO2 all’anno, siano attribuite dall’IPCC (Intergovenramental Panel on Climate Change) all’agricoltura (Barker et al., 2007), il settore agricolo non ricopre oggi un ruolo specifico nella
applicazione del protocollo di Kyoto. La riduzione dell’uso di input esterni, la possibilità di immagazzinare CO2 nel suolo e la produzione di energia sostenibile da fonti rinnovabili rappresentano i fattori chiave del contributo che il settore agricolo potrebbe dare alla diminuzione delle emissioni e allo sviluppo sostenibile. Inoltre è importante considerare che quel 12% non include, ad esempio, le emissioni dovute alla produzione di fertilizzanti, attribuite al settore industriale, in caso di un conteggio delle emissioni lungo l’intera filiera produttiva, l’impatto dell’agricoltura a livello mondiale aumenterebbe notevolmente.
L’agricoltura dunque contribuisce in modo sostanziale ai cambiamenti climatici in particolare attraverso le emissioni di metano e ossidi di azoto. Quando si parla di cambiamenti climatici spesso ci si concentra sul contenuto di CO2 nell’atmosfera. Ma le molecole di metano e protossido di azoto hanno un potenziale di riscaldamento globale maggiore di quello della CO2: il metano ventuno volte ed il protossido di azoto trecentodieci volte maggiore. Le emissioni del settore agricolo sono costituite principalmente dal metano (3.3Gt equivalenti al CO2) e dal protossido di azoto (2.8 Gt CO2), mentre le emissioni di anidride carbonica sono solo 0,04 Gt CO2.
Le emissioni di azoto sono legate all’uso dei fertilizzanti ed al modello di gestione delle deiezioni animali. Le emissioni di metano sono legate alla fermentazione dei ruminanti, al compattamento dei suoli dovuto all’uso di macchinari pesanti ed alla bruciatura delle biomasse (UNCTAD/WTO and FiBL, 2008). Fino al 1992 nessuna politica ha limitato lo sviluppo di tecniche colturali basate sulla intensificazione degli input esterni, in particolare concimi e fitofarmaci o ha influenzando l’apporto di carbonio al suolo. L’approvazione del regolamento sull’agricoltura biologica (2092/91), la direttiva nitrati (91/676) e l’inserimento delle misure agro ambientali (2078/92) hanno rappresentato  alcune delle prime strategie in Europa atte a ridurre la pressione dei sistemi agricoli sull’ambiente.
La Commissione Europea inoltre ha messo in atto una direttiva per la protezione della risorsa “suolo” (2006/2293(INI)), che riconosce all’articolo 1 punto f) lo stoccaggio del carbonio come una delle funzioni dello stesso. La mancanza di indicatori in grado di misurare il possibile effetto di queste politiche sul sequestro di carbonio però, le ha rese inadeguate ai fini di rispettare i parametri previsti dal Protocollo di Kyoto.
Nonostante le indicazioni presenti nei documenti di indirizzo, anche nei PSR 2007/2013 mancano delle misure specifiche che rendano possibile quantificare l’influenza del settore agricolo sugli apporti di carbonio.

2.I motivi per inserire l’agricoltura nell’accordo di Copenaghen 1
Il quarto report dell’IPCC (Intergovenramental Panel on Climate Change) ha comunque fatto delle chiare raccomandazioni su come l’agricoltura debba agire in relazione ai cambiamenti climatici non solo con strategie di adattamento ma anche con significative azioni di mitigazione (FAO, 2009).
Nonostante le presenti difficoltà di misurazione dunque si ritiene necessario l’inserimento di misure specifiche rivolte al settore agricolo nell’accordo post-2012. Solo in questo modo è possibile indirizzare le innovazioni in agricoltura verso la mitigazione dei cambiamenti climatici attraverso la riduzione dell’uso di input esterni e il sequestro del carbonio nel suolo. L’agricoltura industriale, che contribuisce alla continua perdita di fertilità del suolo ed è legata a tecniche di produzione che dipendono fortemente da input esterni tra cui una crescente quantità di fertilizzati con un forte peso nel consumo di energia, non rappresenta un modello che sia capace di applicare tali innovazioni. L’inserimento dell’agricoltura nell’accordo post-2012 pertanto deve mirare ad una generale revisione dei modelli di produzione che porti ad una riduzione degli sprechi energetici e della emissione di gas climalteranti e ad un uso del t erritorio e delle produzioni utile alla trasformazione dell’azienda agricola in sorgente di energia prodotta da fonti rinnovabili. In questo senso il modello produttivo biologico, basato su un approccio eco-sistemico, può dare un vero contributo attivo attraverso la riduzione delle emissioni e la capacità di sequestrare carbonio nei suoli.
Le quattro raccomandazioni centrali dell’IPCC (Smith et al., 2007), per quanto riguarda la mitigazione promuovono:
– la rotazione delle colture e la pianificazione degli indirizzi produttivi;
– la gestione dei nutrienti del suolo e dei processi di concimazione;
– il miglioramento della gestione del patrimonio zootecnico e della disponibilità di pascoli e
foraggi;
– il mantenimento della fertilità del suolo e il ripristino delle terre degradate.
(FAO, 2009).
Inoltre va riconosciuto il potenziale del settore agricolo per la micro generazione di energia, attraverso l’uso delle pertinenze agricole per l’installazione di dispositivi utili alla produzione di energie da fonti rinnovabili, in particolar modo da eolico e solare.

3. Il ruolo specifico dell’agricoltura biologica
In base a queste raccomandazioni il biologico rappresenta oggi una risposta concreta rispetto alle politiche di mitigazione e adattamento, poiché è basato su quelle pratiche che si richiede di applicare a tutti i sistemi agricoli. L’agricoltura biologica contribuisce alla riduzione delle emissioni attraverso una maggiore capacità di sequestro di CO2 nei suoli, poiché è basata sulla fertilità del suolo e sulla produzione di humus, che richiede carbonio. La riduzione degli input esterni porta ad una notevole riduzione delle emissioni di N2O ed ad un minore consumo di energia dovuto al divieto di utilizzare fertilizzanti chimici. Le emissioni di N2O e di CH4 sono ridotte anche dal divieto di bruciare biomasse (Muller and Davis, 2009).
Le azioni di mitigazione del clima aumentano il loro effetto positivo se vengono considerate le possibili sinergie con le strategie di adattamento ai cambiamenti climatici. Tali sinergie variano, insieme alle possibilità di ridurre le emissioni, a seconda delle specifiche pratiche agricole che vengono applicante nei diversi territori.
Un agricoltura biologica che si fonda sul miglioramento della fertilità del suolo e sulla diversità biologica all’interno dell’azienda agricola, e che basa la propria capacità innovativa sull’esperienza personale, sulla capacità di osservazione e di intuizione e sulle conoscenze tradizionali ha una resilienza maggiore alla carenza di risorse idriche e alla presenza di eventi atmosferici estremi quali siccità e alluvioni, rispetto al modello agricolo industriale. La differenziazione produttiva, la 2
diminuzione di input este rni e la multifunzionalità permettono una maggiore stabilità economica, oltre a rispondere a più raccomandazioni dell’IPCC allo stesso tempo.
Tali priorità sono tipiche di un modello di produzione biologico che rimette al centro delle decisioni aziendali il produttore/contadino come gestore del territorio, restituendo un ruolo decisionale alle comunità locali che individuano in questo metodo il modello agro-ecologico volto a garantire il
proprio diritto ad esercitare il controllo sulle proprie risorse.
Questo modello è inoltre capace di indirizzare in senso ecologico i comportamenti degli operatori e dei cittadini e, in particolare, il loro approccio al metodo di produzione e al consumo. L’agricoltura biologica è in grado di promuovere una dieta legata alla stagionalità dei prodotti locali e al consumo
di prodotti meno trasformati e confezionati che permette di limitare le emissioni durante tutta la filiera. In questo senso, nonostante sia importante osservare che i prodotti vegetali quali cereali, patate, legumi e oli, richiedono circa un settimo degli input necessari a produrre carne per la stessa
quantità di calorie (FAO, 2009), bisogna considerare che le produzioni vegetali trasportate per via aerea, surgelate e coltivate in serre artificialmente riscaldate possono avere un impatto ambientale maggiore rispetto alla carne prodotta localmente secondo il metodo di produzione biologica
(Reijnders and Soret, 2003).
In Europa questo modello, che ha un alto potenziale nel generare sinergie tra le strategie di mitigazione e adattamento, è rappresentato principalmente dalle aziende familiari a conduzione biologica, altamente presente anche nelle campagne italiane. La scomparsa di queste aziende, soprattutto nelle aree marginali, rappresenta la perdita di una fondamentale opportunità di ridurre il debito del nostro Paese rispetto agli impegni internazionali sui cambiamenti climatici.
L’inserimento dell’agricoltura nell’accordo post-2012 può quindi rappresentare una grande opportunità per il modello agricolo italiano basato sull’azienda familiare. In questo senso è particolarmente importante che si sostenga questo modello di produzione biologica familiare e non un semplice “biologico di sostituzione” che sebbene risponda ai regolamenti europei, non promuove  ’applicazione di quelle tecniche che portano alla mitigazione e all’adattamento dei cambiamenti climatici. Le politiche sulla mitigazione e sull’adattamento devono dunque interferire con le politiche agricole e favorire i modelli di produzione che abbiano un reale effetto sulla riduzione dei gas di serra e nello stesso tempo sullo sviluppo rurale.
Nel biologico italiano, rispetto ad altri paesi europei, il modello di agricoltura familiare prevale di gran lunga. L’inserimento di politiche volte a considerare il contributo che i contadini italiani continuano a dare nella lotta ai cambiamenti climatici potrebbe dare un importante contributo al debito ambientale del nostro Paese rispetto alle emissioni di gas serra. Grandi sono dunque le potenzialità dell’Italia, attraverso la promozione del biologico come modello di sviluppo rurale, di ridurre tale debito producendo al contempo nuovo reddito e nuova occupazione, in particolare nel settore agricolo.

4. Biologico, emergenza climatica e crisi alimentare
Molti sostengono che alla crisi alimentare si debba rispondere con un lineare aumento della produzione, il Direttore Generale della FAO sostiene che si debba arrivare ad un aumento del 70% da qui al 2050. Questo tipo di risposta incoraggia l’aumento della produzione agricola di tipo agroindustriale,
attraverso la messa a coltura di nuove terre e l’aumento della deforestazione, della lavorazione del suolo e la conseguente diminuzione della qualità del suolo. In questo senso la prospettiva di risolvere il problema sociale della disponibilità di cibo porta a ridurre fortemente le capacità di sequestro dell’anidride carbonica nei paesi del sud del mondo. Tali azioni sono di corto respiro ed hanno conseguenze importanti sul sistema agricolo e quindi sulla disponibilità di cibo nel 3 lungo termine dovuta all’aumento delle temperature e alla riduzione della disponibilità di acqua. A corto respiro però risultano anche le azioni focalizzate sugli aspetti ambientali che, attraverso le azioni di riforestazione dei Clean Development Mechanism (CDM) stanno portando ad un incremento della pressione fondiaria per l’agricoltura familiare in molti paesi in via di sviluppo. Un modello di produzione locale, basato sulla gestione delle risorse da parte delle comunità rurali permette di limitare l’uso di combustibili fossili, mantenendo allo stesso tempo il sostentamento della popolazione. In questo senso dunque, nonostante sia stato dimostrato che le potenzialità di sequestro di carbonio da parte delle foreste siano di gran lunga maggiori rispetto a quelle dei suoli, (il cui potenziale è comunque stato calcolato tra le 1,4 e i 4,4 giga tonnellate in termini di CO2 all’anno (Lal, 2004)) un modello di agricoltura familiare a conduzione biologica, che non sia di semplice sostituzione, rappresenta il giusto compromesso tra gli obiettivi ambientali e sociali di sviluppo delle aree rurali.
Riteniamo dunque che l’inserimento dell’agricoltura negli accordi di Copenaghen sia una opportunità strategica per promuovere un modello di produzione e di consumo che rimetta al centro il concetto della sovranità alimentare*, indirizzi la produzione verso un modello produttivo ecosostenibile, che l’azienda agricola familiare biologica rappresenta a pieno, e modelli di consumo che rispettino le culture e le tradizioni locali. Un interesse nazionale, ma anche di tutti i paesi che ancora oggi hanno una forte agricoltura familiare che garantisce in maniera sostenibile una adeguata sicurezza alimentare.

5. Le azioni necessarie a livello nazionale
La scelta di non inserire la gestione dei terreni agricoli tra le attività umane relative all’uso del suolo che possono portare all’assorbimento od all’emissione di gas serra (Art.3.4) nel bilancio del carbonio 2008-2012 ha portato l’Italia, come altri paesi europei, a perdere una importante occasione per sperimentare un sistema di certificazione e misurazione del contributo alla mitigazione dei cambiamenti climatici del settore primario.
In questo senso dunque riteniamo oggi necessario emanare un provvedimento di legislazione nazionale che consenta di trasmettere i benefici delle azioni intraprese nel campo della riduzione delle emissioni e dell’aumento degli stock di carbonio dei sistemi agro-forestali ai gestori di tali territori. Il provvedimento dovrà riconoscere al gestore la possibilità di ricevere crediti di carbonio a fronte delle riduzioni nette di emissioni ottenute per mezzo di una migliore gestione del territorio così da incentivare, direttamente, le attività di gestione sostenibile, tra cui spicca l’agricoltura biologica, senza alcun aggravio per il bilancio dello Stato. Un tale provvedimento legislativo deve essere necessariamente accompagnato da una campagna informativa nel mondo agricolo su opportunità di mercato e soluzioni tecniche per la produzione e distribuzione dell’energia rinnovabile e la gestione degli stock di carbonio in agricoltura.
La prima azione in questo senso è dunque l’avviamento della valutazione del contributo delle pratiche agro-silvo-pastorali alla riduzione delle emissioni dannose per il clima inserendo questo comparto di attività nel Registro nazionale dei serbatoi di carbonio agro-forestali. Allo stesso tempo rimane una opzione prioritaria degli strumenti della PAC raggiungere l’obiettivo del 20% della superficie agricola convertita all’agricoltura biologica come strumento per l’incremento della sostenibilità ambientale ed energetica dell’intero comparto agricolo.